lunedì 27 settembre 2010

Costruttori di ponti, costruttori di steccati



Un mese fa ci ha lasciati Raimon Panikkar, celebre filosofo e teologo, prolifico scrittore e promotore del dialogo interreligioso. Un uomo che già in partenza, già nell'aspetto fisico, univa India e Europa, essendo figlio di padre indiano induista e madre catalana cattolica. Questa duplice identità la viveva in modo paradossale, dichiarando: “Non mi considero mezzo spagnolo e mezzo indiano, mezzo cattolico e mezzo hindú, ma totalmente occidentale e totalmente orientale.” Visse in Spagna, in Italia, in India e negli Stati Uniti, venendo così in contatto personale con questi diversi mondi culturali e religiosi.  
Per una sua biografia, si può guardare la pagina del sito a lui dedicato, oppure, più estesamente, i post di Krishna Del Toso. Quello che colpisce, in Panikkar, è il suo unire diverse identità religiose, pur essendo sacerdote cattolico dal 1946: “Sono partito cristiano, mi sono scoperto hindù e ritorno buddhista, senza cessare per questo di essere cristiano.” Questa compresenza e non-esclusività lo rendevano un simbolo del dialogo tra culture e religioni, un ponte vivente, oltre che un costruttore di ponti. Agli antipodi dell'esclusivismo religioso che caratterizza gran parte della Chiesa cattolica (nonostante gli encomiabili sforzi per il dialogo), la quale oggi aborrisce il sincretismo, pur avendo in sé elementi di tante culture e tradizioni religiose: tradizione biblica ebraica e filosofia greca, diritto e sacerdozio romano (il pontifex), riti misterici orientali (uso della mitria, Natale il 25 dicembre) e pagani (feste popolari, culti cristianizzati)... tra i santi della Chiesa era incluso anche il 'Bodhisattva', il futuro Buddha, col nome di 'Josaphat' (vedi).
Ma tra i costruttori di steccati non ci sono solo i cattolici conservatori, o i missionari protestanti che sono ancora più drastici nel loro portare il Cristianesimo in altre culture. Ci sono anche intellettuali illuministi e marxisti, che in nome del razionalismo materialista vedono l'Oriente come una minaccia, e cercano di difendere la cultura occidentale da pericolose contaminazioni. Nella prefazione di Edoardo Sanguineti a La grande festa di Vittorio Lanternari (illustre antropologo di inspirazione marxiana), si cita un'intervista del '78, in cui Lanternari si dichiarava preoccupato per la diffusione di uno scrittore come Hermann Hesse (anatema!) tra i giovani della nuova sinistra, che pretendevano di "trapiantare modelli della cultura orientale nella cultura occidentale." Ora, non voglio identificare Lanternari, che come antropologo era un promotore della conoscenza delle altre culture, solo come un costruttore di steccati, ma evidentemente il suo approccio era quello di un rifiuto dell'intromissione della cultura orientale in quella occidentale. Del resto, l'antropologia è nata con l'imperialismo eurocentrico, e ha cercato di conoscere le altre culture come dall'alto, secondo l'ottica della superiore ragione occidentale che studia l'irrazionalità 'primitiva' (come nel dualismo di Lévy-Bruhl). Qualcosa di analogo è accaduto nell'orientalismo nel senso di E.Said, dove l'Oriente è diventato il simbolo dell'irrazionalità, in quanto opposto al razionale Occidente.
E così, sia cattolici che razionalisti si trovano alleati in quella che potremmo chiamare orientofobia, la paura di un mondo diverso, in un certo senso oscuro e demoniaco... Proprio in coloro che vogliono essere più civili e più razionali, riemerge il classico dualismo arcaico tra l'Ordine (rappresentato dalla propria civiltà) e il Caos (rappresentato dall'Altro). Curiosamente, molti orientali (e gli Indiani in particolare) si rivelano molto meno inclini a questo dualismo rispetto agli occidentali. Nella sua apertura Panikkar si è rivelato molto indiano: gli intellettuali indiani, se non sono fondamentalisti o esasperatamente nazionalisti, tendono a pensare generosamente in termini universali e pluralisti, guardando l'umanità come un'unità piena di differenze individuali, ma non divisa in culture inconciliabili. L'India è abituata alla pluralità di filosofie e religioni al suo interno, e ha spesso avuto la tendenza a superare le divisioni in un'unità comprensiva, senza eliminare la pluralità. I maestri spirituali indiani, o tibetani, tendono a sottolineare l'uguaglianza di tutti gli esseri umani nelle esigenze fondamentali, mente gli occidentali continuano a parlare di conflitto di civiltà, di differenze incolmabili tra Oriente e Occidente... L'occidentale tende ad analizzare in categorie astratte, e a combattere o ad assimilare l'Altro. L'indiano (e chi, come il buddhista tibetano, deriva dall'India la visione del mondo) punta il dito su ciò che ci accomuna, più profondo di ciò che ci divide, e propone la sua filosofia come un metodo universale, non come un modo per 'indianizzare' o 'orientalizzare' l'Occidente. L'indiano guarda agli universali filosofici e psicologici, più che alle superficiali differenze culturali. Naturalmente anche l'India ha i suoi nazionalisti (in modo forse sempre più marcato), ma è dagli Inglesi che ha imparato il nazionalismo. Ancora Keyserling, agli inizi del Novecento, sosteneva che gli Indiani erano superiori al nazionalismo. E il più autentico pensiero indiano è universale, come ha dimostrato anche nella diffusione del Buddhismo in mezza Asia e persino del cosiddetto Induismo (nel Sudest asiatico e più recentemente in Occidente).
L'Occidente, soprattutto l'Europa, soffre di sindrome dell'assedio, vittima di un'immigrazione imponente (che per certi versi è un riflusso del colonialismo). D'altro lato, le culture non occidentali hanno un loro appeal sugli occidentali, soprattutto a livello di cultura 'popolare'. Per parlare dell'Asia, abbiamo la diffusione dello yoga e delle arti marziali, dell'Ayurveda e della medicina cinese o tibetana, della meditazione e delle 'filosofie orientali' fino all'autentica adesione religiosa a varie forme dell'Induismo e del Buddhismo. Fenomeni in espansione e ormai apparentemente stabili, che dovrebbero far pensare che il conservatorismo dei costruttori di steccati è condannato alla sconfitta, in un mondo di relazioni sempre più strette, e in un Occidente sempre meno sicuro della propria identità. Infatti, l'identità cattolica o cristiana e quella razionalista-positivista, difese dai conservatori, entrano in crisi, diventano permeabili, spesso vengono abbandonate. Rigurgiti identitari fanno bandiera dei simboli cristiani o etnici (padani...), ma sono operazioni di facciata, che tradiscono una certa artificiosità, sostenuta più dal sospetto per il diverso che da una identità solida, come mostrano anche le opposte iniziative di distruzione dei simboli altrui (rogo del Corano, rifiuto dei minareti o delle moschee). L'Occidente si deve rassegnare al pluralismo che ha spesso avuto la tendenza a rifiutare in nome di una verità assoluta che diventava anche Potere: prima quella dell'Impero romano, poi quella del Papato con la Santa Inquisizione, poi quella dell'imperialismo europeo, o della Scienza illuminista, del Socialismo reale, o anche del Mercato capitalista. Uniformare dall'alto e combattere o assimilare tutto ciò che si oppone. Ma la nuova tendenza non è più quella imperialista (falliti gli ultimi tentativi dell'America di Bush), è quella dello steccato, dell'autodifesa, dell'arroccamento nella propria rassicurante uniformità già data. 
Di fronte a queste scelte fallimentari e ottuse, è bene coltivare un'intelligente apertura, persino senza affermare immaginarie appartenenze identitarie, la cui utilità sembra stare solo nell'autocompiacimento e nel volersi distinguere dagli altri. Riconoscere che ognuno di noi è un individuo unico e al contempo un essere umano (o un essere vivente) come gli altri, e che il conflitto tra civiltà esiste fino a che crediamo in civiltà nettamente distinte e inconciliabili. Possiamo spaziare nelle varie culture, trovando ciò che ci appare più benefico e convincente, senza preclusioni. Persino un antico occidentale come Terenzio (d'altronde d'origine africana) era arrivato a scrivere: homo sum: humani nihil a me alienum puto "Sono un uomo: niente di umano io ritengo a me estraneo"...    

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