venerdì 11 marzo 2011

Un nuovo libro sull'archeologia dalla Mesopotamia all'Indo

Recentemente è apparso un volumetto molto denso e stimolante sul quadro archeologico di un'area che va dalla Mesopotamia all'India: "A oriente di Sumer". L'autore è un archeologo italiano che ha partecipato a scavi in Iran, Pakistan, India, Nepal, Turkmenistan... collaboratore tra l'altro di un importante specialista di archeologia harappana, Kenoyer. Qui si trova il suo curriculum.

Il testo descrive moltissime civiltà, dai Sumeri agli Elamiti, dalle culture dell'Iran orientale a quelle di Battriana e Margiana, fino alla valle dell'Indo. Usa una singolare definizione di 'Asia meridionale', che invece di indicare il subcontinente indiano (come nell'uso inglese di 'South Asia') ingloba le regioni aride o semiaride di Mesopotamia, penisola araba, altopiano iranico, rilievi afghani e valle dell'Indo. Affronta molte interessanti questioni teoriche sulla natura degli stati protostorici, con osservazioni molto acute sulla civiltà harappana. A proposito dei sigilli di steatite nota (p.125) che, di forma, struttura e uso standardizzato, ricordano più i nostri documenti di identità  che i cilindri mesopotamici. Questo concorda con quello che si dice nel Mahābhārata (III.654, ed. Bombay): "chi è senza sigillo non esce né entra nella città di Vṛṣṇyandhaka". E Vidale aggiunge a proposito dei simboli animali: "Si pensa che l'animale segnalasse subito anche a chi non sapeva leggere la principale identità sociale del portatore". A proposito dell'oggetto davanti all'unicorno, afferma che "resiste a ogni tentativo di comprensione". Invito a leggere un mio post precedente sull'argomento, che riporta la sua convincente identificazione (da parte di Mahadevan) con un filtro e bacino per il Soma. Ma tornando agli animali simbolici, colpisce l'osservazione che i sigilli indiani trovati in Iran, nel Golfo Persico e in Mesopotamia recano solo l'immagine del gaur (bisonte indiano), il che fa pensare "che gli animali identificassero precisi ruoli sociali". E suppone che, essendo il simbolo più comune sui sigilli,
l'unicorno forse indicava una responsabilità e competenza comune nelle città del III millennio: quella degli amministratori di dettaglio dell'economia urbana. Già molti anni fa, del resto, Carl G. Lamberg-Karlovsky aveva ipotizzato che le figure animali sui sigilli comunicassero alla popolazione urbana delle precise coordinate occupazionali o sociali: «[...] La civiltà dell'Indo presenta un considerevole numero di elementi che suggeriscono la presenza dei gruppi di lignaggio endogami strutturati su linee occupazionali tanto importanti alla formazione delle caste»(pp.125-7).  
Tra questi elementi c'è certamente la divisione delle città in settori distinti, racchiusi da recinzioni murarie con specifici accessi (come osserva a p.118 per Harappa):
La capacità di classificare, accorpare e segregare le comunità urbane come fece la civiltà dell'Indo dagli inizi del III millennio a.C. presuppone un forte consenso collettivo, garantito solo da una pervasiva ideologia comune del vivere sociale. [...] queste società si basavano su un sistema chiaramente espresso di segmentazione sociale [...] Non dobbiamo cercare nelle società del Bronzo dell'India una struttura castale formalizzata come quella dell'Induismo, quanto piuttosto considerare la possibilità che entrambe le forme (quella "corporata" dell'Indo e quella delle caste di età storica) derivino da un antenato comune di incommensurabile influenza storica. (pp.142-3)
Si suppone quindi una radice della segmentazione sociale in India che continua tra la civiltà harappana e quella dell'India storica. E si intravede un'ideologia unificante analoga al Dharma del Brahmanesimo classico, che costituì la struttura portante della società indiana attraverso i secoli. La divisione in caste non deriva quindi da un'invasione di ariani razzisti, ma da una tradizione antichissima, che dimostra che non ci sono state nella civiltà dell'India innovazioni radicali portate da invasori, prima del dominio islamico e poi britannico. Gli stessi studi genetici sulle caste attuali hanno mostrato l'origine autoctona di questo sistema, che porta a un potere politico 'eterarchico', cioè "condiviso tra diverse famiglie e comunità urbane, sulla base di precise regole istituzionali." (p.142)
Questa suddivisione del potere costituiva naturalmente un limite al potere centrale, ed è questa caratteristica che rese la civiltà indiana meno monarchica di quella egizia, mesopotamica o cinese. Il re c'era ed aveva un ruolo fondamentale, ma il suo potere era limitato dall'aristrocrazia guerriera (gli Kṣatriya) e dai Brahmani. Ed era inserito nell'ambito del Dharma, in un sistema di rapporti sociali non modificabili arbitrariamente, ma tramandati sotto la custodia dei Brahmani, gelosi della loro autonomia e sostenitori della loro supremazia ideale nell'ordine sociale. Com'è noto, è un sistema molto simile a quello celtico, che si suddivideva in una classe intellettuale di druidi, bardi e 'vati', un'aristocrazia guerriera e il resto del popolo. E anche se nelle altre culture indoeuropee spesso mancava una forte élite sacerdotale, un'aristocrazia guerriera esisteva, dando origine a sistemi assembleari che si costituirono anche come repubbliche aristocratiche, per poi 'allargarsi' in alcune città greche in democrazie.
C'è da chiedersi se Kṣatriya e Brahmani fossero già presenti nella civiltà dell'Indo. Se seguiamo la tradizione indiana racchiusa nei Veda, nell'Epica e nei Purāṇa, c'erano sicuramente, divisi in Gotra (lignaggi) e in tribù. Il Ṛgveda, che può essere coetaneo con la tarda civiltà harappana, ci parla di Brahmani e Kṣatriya, e degli antichi Ṛṣi e re. 

 
Ceramica harappana


Ceramica greca geometrica

















Possiamo pensare che questa cultura aristocratica si diffuse nel terzo e secondo millennio in Asia centrale e in Anatolia (e con i Maryanni in gran parte del Vicino Oriente), nella Grecia micenea, nell'Europa centrale celtica (Halstatt) e in Italia. Portando con sé le lingue indoeuropee, sistemi legali e anche una mentalità sistematica e razionale, che derivavano dalla cultura dell'Età del Bronzo indoiranica. Vidale osserva che nei siti dell'Indo emerge "un forte interesse per la geometria e la simmetria, esteso dagli impianti urbani, forse orientati seguendo allineamenti astronomici, alle forme degli ornamenti di lusso" (p.122). E' notevole che un analogo interesse per la geometria e la simmetria si ritrovi nelle città-palazzo di Battriana e Margiana (civiltà dell'Oxus) che appaiono tra il 2500 e il 1700 a.C., spesso rettangolari, orientate verso i punti cardinali e protette da fortificazioni con torri angolari, oppure strutture ad anelli concentrici. Tali forme sono paragonate alla geometria dei coevi sigilli a stampo battriani, che riportano croci (magari con svastica al centro) e cerchi concentrici (vedi pp.81-85). E un analogo interesse per la geometria urbanistica troviamo in Grecia (dove abbiamo cittadelle fortificate sin dall'epoca micenea), presso gli Etruschi (pare per influsso greco) e infine presso i Romani (per influsso etrusco, ma continuando la mentalità geometrica-razionalizzante indoeuropea che i Romani realizzarono in modo sistematico). Simile attenzione per la geometria, con motivi ricorrenti come gli scacchi e lo svastika, troviamo nella ceramica dell'Indo, iranica, frigia e greca del cosiddetto 'periodo geometrico'. Forse possiamo ammettere una genealogia per queste affinità tra popoli parlanti lingue indoeuropee, che affonda nell'Età del Bronzo tra valle dell'Indo, dell'Amu Darya e dell'Hilmand, per poi spostarsi sempre più a ovest nel corso dei secoli.



Vidale, di fronte alla teoria dell'invasione aria dell'India, si pone con scetticismo. Scrive a pp.111-2:


Il nucleo di testi religiosi più antico, i Veda [...] erano stati datati dai filologi - su basi molto arbitrarie - intorno alla metà del II millennio. Religiosi e storici concordavano nel fissare a tale data gli eventi che traspaiono dagli inni del Rgveda e con essi un'ipotetica migrazione dall'entroterra afghano degli Arii, immaginaria e bellicosa popolazione di allevatori di lingua e cultura "indo-arie". Malgrado la tradizione non sia suffragata da alcuna prova archeologica, l'idea di questa primigenia invasione etnica sostiene ancora la fede religiosa sulla "purezza di sangue" di Brahmani e Kshatrya, i due ordini superiori delle caste indiane, che affermano, appunto, di discendere in linea diretta dagli Arii.
Purtroppo Vidale segue qui l'interpretazione capziosa del racconto vedico nel senso dell'invasione aria dall'esterno, ignorando apparentemente che la fede religiosa tradizionale non ammette questa invasione, e che se attualmente Brahmani e Kshatriya sostengono di discendere dagli Arii invasori c'è di mezzo lo zampino dei Britannici, che, sin dall'Ottocento, hanno diffuso in India come un dato di fatto la teoria invasionista. D'altronde, a p.131 riporta che "per molti il Rgveda non narrerebbe invasioni, quanto metafore religiose sulla pioggia e la fertilità ben collocabili nell'ideologia di gruppi pastorali nomadici". Questa è un'idea allegorizzante un po' estrema, non è che nel Ṛgveda non ci siano battaglie e spostamenti militari, ma avvengono all'interno delle pianure indiane. Inoltre anche l'identificazione della cultura rigvedica come puramente nomadica è capziosa, visto che include l'agricoltura e la presenza di edifici stabili (si leggano in proposito Bhagwan Singh, R.S. Bisht e S.P. Gupta).
Vidale continua dicendo che tra i nomadi centrasiatici di Andronovo, da identificare con gli indo-iranici per alcuni teorici, e i Medi loro supposti discendenti resta un abisso di mille anni, e che le ceramiche di Andronovo non sono mai state trovate lungo l'Indo.

Ancora una volta, dunque, l'archeologia smentisce la teoria dell'invasione centrasiatica, e anzi potrebbe aprire interessanti orizzonti di un movimento culturale dall'India verso ovest, fino all'Europa, le cui radici orientali sembrano rivelarsi sempre più chiaramente. 
  


Gonur Tepe, Margiana