domenica 15 novembre 2009

La stagione di gloria degli Indoarii nel Vicino Oriente

Nel post sugli Etruschi, avevo accennato alla presenza di Indoarii in Anatolia e nel Vicino Oriente. Questa presenza inaspettata è emersa grazie alla scoperta del trattato tra Matiwaza di Mitanni e il re ittita Suppiliuluma, che presentava chiaramente le divinità vediche Mitra, Varua, Indra e i Nāsatya, e dei nomi indoarii dei regnanti di Mitanni, come il fondatore Kirta, che richiama il sanscrito kīrti- 'gloria', oppure Artadāma (scr. tadhāman- 'che dimora nell'ordine cosmico'), o Tu(i)shra(t)ta (scr. *tviratha-, tvearatha- 'che ha carri impetuosi o splendenti'). Il regno di Mitanni si estese sull'Alta Mesopotamia fino alla costa mediterranea, come mostra la cartina, ed era abitato prevalentemente da Hurriti, una popolazione di lingua non indoeuropea; la dinastia però era evidentemente di origini indoarie, e regnò sulla regione dal XV al XIII sec. a.C., giungendo a farsi vassalla l'Assiria, da cui finì conquistato. Il culmine del potere fu agli inizi del XIV secolo, sotto Shuttarna II (o Sudarna, equivalente secondo Dumont a *Sudharaa 'che sostiene bene'), che diede sua figlia Kilu-hepa in sposa al faraone Amenhotep III. Questi sposò anche la figlia del successore di Shuttarna, Tushratta, chiamata Tadu-hepa, in seguito presa in moglie anche da Amenhotep IV, più noto come Akhenaton, il famoso faraone 'monoteista'. Ci sono rimaste anche lettere di Tushratta ad Akhenaton, una a proposito del dono di statue d'oro di lui stesso e della figlia Tadu-hepa, promesse come dote per il suo matrimonio con Amenhotep III (http://en.wikipedia.org/wiki/Akhenaten).

Ciò dimostra l'importanza di Mitanni (di cui vediamo qui a destra un sigillo reale) e della sua dinastia 'indo-aria' nel panorama delle grandi potenze del Vicino Oriente. Ma meno nota è la presenza indo-aria a Babilonia, nella cosiddetta dinastia Cassita. Un interessante studio sulla lingua di questa dinastia è quello di A. Ancillotti, "La lingua dei Cassiti", del 1981. Nell'introduzione storica, nota che il fondatore della dinastia è ritenuto Gandaš, alla fine del XVIII sec. a.C., perché primo a insediarsi all'interno del territorio babilonese, provenendo dall'Iran. Ma l'insediamento della dinastia a Babilonia lo data all'inizio del XVI secolo, con Agum II. Babilonia fu ribattezzata Karanduniaš, e fu poi fondata una nuova capitale, Dur-Kurigalzu, in onore del re Kurigalzu del XV secolo. Secondo Ancillotti, i Cassiti portarono un sistema feudale, articolato in monarchie locali tributarie del re di Babilonia. Si afferma la datazione basata sul numero degli anni di regno del sovrano, e si istallano le pietre di confine (kudurru), sulle quali, dal 1200 a.C., si incontra l'uso di nomi di famiglia, prima non attestato. Particolarmente significativa è l'introduzione della cavalleria da guerra e dei carri da guerra, "insieme ad una evoluta arte ippologica". Questo è un elemento certamente notevole in rapporto all'identità indoaria di questa dinastia, visto che nel XIV secolo l'arte dell'allevamento dei cavalli fu illustrata con grande precisione da Kikkuli, addestratore di cavalli (assussanni, cfr. scr. aśva-sani- 'che ottiene o procura cavalli') di Mitanni, nel suo trattato scritto in ittita, ma con alcuni termini chiaramente indoarii, quali aika-, tera-, panza-, satta-, nā-wartanna, corrispondenti a scr. eka-, tri-, pañca-, nava-vartana 'uno, tre, cinque, sette, nove giri'. Documenti di Nuzi, nella Mesopotamia settentrionale, sotto l'influsso di Mitanni, troviamo aggettivi per i cavalli molto simili a quelli sanscriti: babru-nnu (scr. babhru, 'marrone'), parita-nnu (scr. palita, 'grigio'), e pinkara-nnu (scr. pigala, 'fulvo'). Nelle lettere di Amarna (capitale di Akhenaton in Egitto) e nei testi accadici, si menzionano i maryannu, guerrieri conduttori di carri, il cui nome è stato confrontato con il sanscrito marya- 'giovane guerriero', con il solito suffisso hurrita -nnu.

Ora, l'Ancillotti individua analoghi termini indoarii in contesto cassita. Già prima di lui si erano riconosciuti alcuni teonimi arii, come Suriyaš, scr. Sūrya 'Sole'. Ma Ancillotti si spinge oltre. Riconosce come aria gran parte dell'onomastica, e appunto del lessico dell'ippologia, oltre a vari teonimi. Il lessico relativo al carro da guerra comprende alaka (scr. araka- 'raggio della ruota'), akkandaš (scr. aṅkānta-s 'cerchione'), ecc.; le denominazioni dei tipi di cavalli sono sirpi (scr. śilpī 'pezzato'), timiraš (scr. timira-s 'scuro').

Tra i nomi di divinità, che si trovano anche nei nomi di sovrani, abbiamo Indaš, corrispondente al vedico Indra; Maruttaš, scr. māruta-s, che indica gli dèi della tempesta; Bugaš, scr. bhaga-s, nome di uno degli dèi Āditya o anche genericamente 'dispensatore' e 'fortuna, prosperità, maestà', ecc.

Ancillotti passa in rassegna numerosi termini, spiegandone la possibile origine aria secondo certe leggi fonetiche, e arriva a sostenere che il nome che i Cassiti (così chiamati dagli appellativi accadici e greci) davano a se stessi, era 'Kuru'. A chiunque conosca un po' la tradizione indiana, questo nome evoca immediatamente il Mahābhārata e Kurukshetra, il territorio dove si è combattuta la battaglia, già sacro per la presenza del fiume Sarasvatī.

Come arriva a questa conclusione? Perché il già menzionato nome di un re cassita, Kurigalzu, è tradotto in accadico come 'pastore dei Cassiti', e Ancillotti ritiene che sia -galzu a significare 'pastore'. Esiste anche il nome Kuriyani, da accostare a scr. yānī 'conduttore', quindi 'conduttor dei Kuru'. Non solo, un nome proprio maschile e nome di cavallo è Kurukšebugaš, da un ipotetico Kuru-kaya-, dove kaya- indica in sanscrito 'dimora' e anche 'che risiede', dunque il termine potrebbe essere secondo Ancillotti 'Bugaš risiedente tra i Kuru' o 'Bugaš è la dimora dei Kuru'. Ma kaya- può significare anche 'famiglia, stirpe', certo in quanto 'casa, casata', quindi Kurukšebugaš potrebbe anche essere 'fortuna della stirpe dei Kuru'.

Ancillotti è un invasionista, rispetto all'India, quindi ritiene che i Kuru fossero una tribù centrasiatica che è andata sia in Vicino Oriente che nel subcontinente indiano, ma noi possiamo supporre che essa sia invece d'origine indiana, come mostrano i nomi di divinità, i termini relativi ai carri e ai cavalli.

Tirando le fila, possiamo ipotizzare che a partire dal XVIII sec. a.C. gruppi di guerrieri indiani siano partiti verso occidente, in un periodo effettivamente segnato nell'India nordoccidentale da crisi ambientali e conflitti, e si siano affermati grazie alla loro capacità di combattere con carri trainati da cavalli, ma certo anche a capacità politiche e amministrative. Questi appaiono ben presenti nel Rigveda, che io dato nella prima metà del II mill. a.C., con una fase particolarmente importante intorno al 1900 a.C., quando si dovrebbe situare la Battaglia dei Dieci Re. Secondo la mia cronologia delle genealogie, lo stesso Kuru, capostipite della dinastia, si può situare intorno al 1886 a.C., quindi ben prima dell'arrivo dei Cassiti in Mesopotamia, che di conseguenza sarebbero potuti essere dei Kuru, anche se probabilmente mescolati con popolazioni di altra etnia assimilate lungo il percorso verso la valle del Tigri e dell'Eufrate.

Questi guerrieri, che appartenessero ai Kuru o ad altre stirpi aristocratiche, mantennero una loro identità culturale per alcuni secoli, come attestato nell'onomastica e dai teonimi, ma naturalmente, come minoranza, ebbero la tendenza ad assimilarsi alle culture locali. E' affascinante immaginare dei principi di origine indiana alla guida di regni mediorientali, a contatto con altre antiche civiltà, divisi tra il culto dei loro dèi ancestrali e quelli dei loro sudditi, tenaci nel mantenere alcune tradizioni della loro terra lontana. Quando si persero nell'oblio cosa lasciarono in eredità? Certamente i loro carri e cavalli, ma forse anche altro. Parte della loro lingua potrebbe essere rimasta nei dialetti curdi e nell'armeno, visto che curdi e armeni hanno vissuto nel territorio del regno di Mitanni e del successivo regno di Shupria (confrontabile col scr. supriya- 'molto piacevole') presso il lago Van (http://en.wikipedia.org/wiki/Shupria).

Geneticamente, si è notato che l'aplogruppo R1a-M17 (associabile agli Indoarii) ha una frequenza di circa il 6,9% in Turchia, è più frequente nelle parti orientali, ed è analogo a quello che si trova in Armenia: ("The higher frequency of R1a1-M17 lineages in eastern Turkey is consistent with an entry into Anatolia via the Iranian plateau where the associated variance is appreciably higher (Quintana-Murci et al. 2001). The most common R1a1-M17 haplotype in Armenia (Weale et al. 2001)matches the most common in Turkey." Vedi Excavating Y-chromosome haplotype strata in Anatolia http://hpgl.stanford.edu/publications/HG_2004_v114_p127-148.pdf).

Inoltre, se la tesi sugli etruschi di Bernardini Marzolla è giusta, la loro eredità culturale si sarebbe spinta fino all'Italia, tramite l'Anatolia. Si potrebbe dire che il II millennio a.C. sia stata la fase dell'espansione indiana verso occidente, un'espansione di piccole élites, ormai separate dalla madrepatria. Una simile espansione non si sarebbe ripetuta nel millennio successivo, quando si affermò la potenza persiana sull'altopiano iranico, e la civiltà dell'India trovò un nuovo baricentro nella valle del Gange.

Mille sentenze indiane - Fortuna



601. Dove c'è chi dice e chi ascolta cose dapprima sgradite ma in conclusione benefiche, ivi entra e si asside la dea della Fortuna.


602. La prosperità si allontana dai troppo sinceri, dai cacadubbi e dai timorosi dell'altrui biasimo.


603. "Io abbandono il valoroso, per paura di restar vedova; il generoso, per rossore; il dotto, per tema di una rivale (la Scienza); perciò mi attacco all'avaro".


604. Chi ha con sé la Fortuna, per lo più non si occupa delle altrui sofferenze; mentre il serpente Shesha si stanca nel sostenere il peso della terra, Vishnu se la dorme tranquillo.



domenica 8 novembre 2009

Mille sentenze indiane - Povertà


582. Mi dischiudo alla speranza col sorgere del sole, e tutto mi ristringo al tramonto; immerso nel lago della miseria, imito il giuoco delle ninfee.

587. Se il ricco conoscesse il dolore che nasce in chi sta per pronunziare la parola "da'!", darebbe anche le proprie carni.

591. Mettete un uomo di grande mente a lottare ogni giorno con la povertà e a dover pensare al burro e al sale e al riso e ai legumi e alle legna; finirà col perdere la testa.

594. Anche se il ricco si è acquistata una virtù, presto la sciupa; (ma) il povero la conserva; il secchio pieno sommerge la fune, non il vuoto.

596. Cibo più saporito gusta sempre il povero che il ricco; la fame, che condisce gli alimenti, è ben rara tra i ricchi.

599. Il giovane pensa all'amore, l'uomo di mezza età pensa al denaro, il vecchio pensa alla morte, il povero a molte cose.