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domenica 19 febbraio 2012

La conferenza mondiale di sanscrito a Delhi





Lo scorso gennaio (dal 5 al 10) ho potuto partecipare alla quindicesima World Sanskrit Conference a New Delhi, nel bel contesto del Vigyan Bhawan, nelle gradevoli aree verdi della capitale indiana. Un evento grandioso, introdotto dal primo ministro stesso, Manmohan Singh (come si può vedere nella foto in alto), e con la partecipazione di circa 400 cultori di sanscrito o discipline affini. Spesso i discorsi introduttivi, e anche alcuni interventi, erano in sanscrito parlato, che apparentemente gli studiosi indiani possono seguire facilmente. Per noi sanscritisti occidentali (almeno nel mio caso), ci vorrebbe ancora un po' di pratica!
Anche lì si è parlato di un certo pessimismo che circola a proposito della salute degli studi sanscriti, ma la larga affluenza è stata salutata come un segnale positivo. E' stato presentato un interessante volume intitolato "Viśvavārā. Sanskrit for Human Survival", curato da Kalyan Kumar Chakravarty, con vari articoli sulla funzione attuale del sanscrito e su vari aspetti storici del suo uso, anche al di fuori dell'India, come nell'Asia sudorientale, centrale, fino al Giappone.

Scrive Indra Nath Choudhuri all'inizio del suo articolo "Stato contemporaneo e rilevanza del Sanscrito":
"Il Sanscrito (che significa 'colto o raffinato', 'cultured or refined' in inglese), la lingua classica dell'India, è la lingua più antica e più sistematica nel mondo. La vastità e versatilità, e il potere d'espressione di questa lingua possono essere apprezzati dal fatto che uno può trovare praticamente un immane corpus di conoscenza di ogni disciplina disponibile del mondo in questa lingua. Friedrich Max Muller, uno degli Indologi molto illustri dei suoi tempi, aveva chiamato il Sanscrito la 'lingua delle lingue', e notò che 'è stato detto giustamente che il Sanscrito è per la scienza della lingua ciò che la matematica è per l'astronomia.' [...] Qual è la ragione della lunga tradizione di continuità del Sanscrito? La sua chiarezza, precisione, e la sua ricerca della verità hanno tutte contribuito alla sua persistenza." Si aggiunge che oggi la precisione del Sanscrito con gli strumenti informatici "sveglierà la capacità negli esseri umani di utilizzare la loro innata facoltà mentale superiore con uno slancio (momentum) che trasformerebbe inevitabilmente il mondo. In effetti il solo apprendimento del Sanscrito da parte di un ampio numero di persone in sé rappresenta un salto quantico nella coscienza, per non menzionare la ricca dotazione (endowment) che provvederà nell'arena della comunicazione futura."
Nello stesso ambito, un altro testo offerto al convegno era quello di Lokesh Chandra, "Sanskrit as the Transcreative Dimension of the Languages and Thought Systems of Europe and Asia", dove si apprende la sorprendente notizia che a Londra nel 1937 fu fondata una scuola (St. James Indipendent School for Boys) in cui lo studio della lingua inizia con il Sanscrito, introdotto a 5 anni di età, con la giustificazione che quest'antichissima lingua è rimasta sostanzialmente immutata per migliaia di anni e ha preservato un sistema grammaticale completo, il suo suono è puro e bello e la letteratura magnifica. I primi passi nel Sanscrito nella Junior School implicano il cantarlo, parlarlo, e apprendere l'alfabeto. Ciò è seguito dall'apprendimento sistematico della grammatica e dall'introduzione alla conversazione sanscrita. A otto anni si introduce il Greco come seconda lingua. Si conclude che questo apprendimento precoce e approfondito delle lingue classiche dà ai bambini una base eccellente per tutto il loro apprendimento futuro. (Qui si trova la pagina web della scuola relativa al sanscrito).
Lokesh Chandra aggiunge, dopo aver citato anche la Classical School di Boston: "L'opinione che il sanscrito è complesso, difficile, e non ha una funzionalità immediata è neutralizzata dal suo sottile e profondo potere subconscio nello strutturare un ordine sociale lontano dalle grottesche diseguaglianze degli strutturalisti progressisti che barattano i valori per l'economia di mercato, un eufemismo per l'avidità incontrollata. La Classical School di Boston evidenzia il bisogno di rinvigorire lo spirito essenziale del Sanscrito e invertire il nostro sguardo ultra-materialistico verso uno sviluppo ispirato ai valori..." 



    

sabato 1 ottobre 2011

Il Simposio dei giovani indologi a Parigi e l'avvenire dell'indologia

 
 
Ieri si è concluso, qui a Parigi, il terzo "International Indology Graduate Research Symposium" (vedi http://iigrs.byethost17.com/), iniziativa partita dall'Inghilterra, che ha coinvolto molti brillanti indologi italiani ormai sparsi per l'Europa, come gli studiosi di grammatica sanscrita Paolo Visigalli e Giovanni Ciotti, gli studiosi di filosofia Marco Ferrante, Daniele Cuneo e Elisa Ganser, e lo studioso di letteratura indo-persiana Svevo D'Onofrio. Oltre a loro, erano presenti studiosi britannici, francesi, tedeschi, cinesi, un'americana e l'implacabile Pandit indiano Gopabandhu Mishra, professore di sanscrito all'Università 'Paris 3', che ha messo alla prova con i suoi rapidissimi śloka (strofe sanscrite) quasi ogni oratore.

L'impressione generale è quella che l'indologia sia una disciplina molto articolata, che comprende linguistica, logica, metafisica, storia, filologia, epigrafia, antropologia sociale e religiosa, per di più suddivisa tra le tradizioni brahmanica (con tutte le sue suddivisioni interne), buddhista, giainista, islamica... un ascoltatore esperto di una branca dell'indologia si troverà facilmente spaesato in un'altra. Si può arrivare alla conclusione, come mi ha detto l'amico tedesco Sven Wortmann che ha partecipato al convegno, che l'indologia non è una disciplina. In effetti, come può lo studio di una civiltà configurarsi come una disciplina unica? E' vero che quello che accomuna gli studi presentati in questo convegno è generalmente un riferimento filologico al testo, ma i testi stessi possono essere di generi talmente differenti da rendere l'idea di un'unica 'scienza' indologica piuttosto improponibile. In ambito di studi classici, non esiste un'Ellenologia o una Latinologia. Esiste Letteratura greca, che può comprendere qualsiasi testo, ma si concentra su quelli a intento più specificamente letterario, e poi Storia greca, Filosofia greca, Filologia greca, Epigrafia greca, Papirologia... Ovviamente, il maggiore interesse in Occidente per la cultura greca ha permesso lo svilupparsi di una tradizione accademica più articolata.
D'altronde, è vero che non bisogna eccedere con le specializzazioni, e la civiltà indiana ha una sua identità complessiva che, per quanto variegata, si distingue per la sua specificità da quella di altre civiltà, con alcuni leitmotiv che risuonano simili nelle sue diverse tradizioni. In un convegno di 'indologi' però, si richiederebbe di non presupporre che gli ascoltatori conoscano il contesto del proprio oggetto di studio, e una introduzione per iniziare i profani, come suggerito alla fine del convegno, sarebbe auspicabile.   

Un'altra questione che sorge è: qual è lo scopo dello studio filologico? E' semplicemente il progredire della conoscenza, fine a se stessa, dei testi di un'antica civiltà o qualcosa d'altro? In ambito accademico, sembra non porsi mai il problema. I professori insegnano, aprendo orizzonti affascinanti, ma senza generalmente spiegare perché uno dovrebbe impegnarsi nello studio della loro materia. Eppure la questione andrebbe affrontata, non solo per ragioni esistenziali (qual è il senso vitale di questo studio) o pratiche (l'inserimento in un percorso professionale), ma anche per giustificare l'esistenza di una disciplina accademica, che rischia di non essere più sostenuta dallo Stato per mancanza di rilevanza economica e sociale o perché appare remota, priva di relazione con la cultura occidentale e con l'attualità. Probabilmente ogni indologo saprebbe cosa rispondere a questa questione. Il nostro interesse per la civiltà indiana è dovuto a qualche risonanza interna e consonanza che ci ha portato ad approfondirla e a trovarvi qualcosa di prezioso. Forse abbiamo pudore a dichiararlo, perché l'accademia richiede semplicemente che uno faccia 'scienza'. Eppure bisognerebbe esplicitare quale interesse abbia l'India antica per il mondo di oggi, quale messaggio universale, e a cosa mirino i nostri studi, che altrimenti possono apparire come un coacervo di astrusi problemi filologici che servono solo a pubblicare articoli su riviste specializzate. Le scienze umane hanno le loro radici nell'Umanesimo e nell'Idealismo, filosofie oggi poco di moda. E l'Orientalistica, pur essendo un aspetto dell'imperialismo europeo, era partita come il sogno di un nuovo Umanesimo (la Renaissance orientale), ma rischia di perdersi in uno storicismo positivistico che interessa a ben pochi. Spetta a noi della nuova generazione di indologi unire l'imprescindibile rigore filologico a una prospettiva di ampio respiro...

domenica 31 luglio 2011

Mille sentenze indiane - Enumerazioni 6

935. Chi genera, chi educa, chi insegna la scienza, chi dà il cibo, chi salva dal pericolo: questi cinque sono ricordati come padri.
936. Un figlio della stessa madre; un compagno di studî; un amico; un infermiere; un compagno di viaggio che ami discorrere: questi cinque sono considerati come fratelli.
941. La scienza, l'arte, l'attività, la dottrina, gli amici sono cinque tesori inesauribili, che i ladri non possono rapire.
946. Il sogno di un ammalato, di un afflitto, di un ansioso, di un innamorato e di un ebro, non si realizza mai.
955. Esagerata pulizia o mancanza di pulizia; soverchio biasimo, soverchia lode; eccesso di cortesia o scortesia  sei indizi dello stolto.
 956. Il pigro, il tardo di mente, il felice, l'ammalato, il dormiglione e l'innamorato questi sei sono fuori della legge.
 
 
 
 
 

domenica 9 gennaio 2011

Mille sentenze indiane - Enumerazioni 5

915. In ogni adunanza, opinione diversa; in ogni vaso, latte nuovo; ad ogni generazione, nuove costumanze; in ogni bocca, nuove parole.
918. Il corpo è la legna per il fuoco dell'ira, il denaro è la legna per il fuoco dell'amore, la scienza è la legna per il fuoco della verità, il mondo è la legna per il fuoco della conoscenza (suprema).
927. È scïenza velen, male imparata:
veleno il cibo, male digerito;
al povero è velen lieta brigata;
bella ragazza al vecchio rifinito.
933. Della stessa stoffa sono il brammano, la luna e il sandalo; della stessa stoffa la donna, il liuto e il cuculo; della stessa stoffa il cavallo, la spada e il guerriero; della stessa stoffa il legno, lo stolto e l'asino.

  

lunedì 20 dicembre 2010

Mille sentenze indiane - Enumerazioni 4

891. Il turbamento rivela l'amore; l'aspetto del corpo rivela il cibo; l'educazione rivela la famiglia; il parlare rivela il paese.
892. Il denaro si fa beffe dell'avido, alieno dalle doverose elargizioni; la terra si fa beffe di chi va dicendo:  « la terra è mia »; la vecchiaia si fa beffe di chi accarezza i figliuoli; la morte si fa beffe del re che teme il campo di battaglia.
894. La donna va in rovina per la bellezza, il brammano nel servire il re, le vacche se il pascolo è troppo lontano, l'oro per la cupidigia.
895. Il cigno risplende tra il fogliame del loteto; il leone, nelle caverne montane; il cavallo di razza, sul campo di battaglia; il dotto, fra gli uomini intelligenti.

domenica 31 ottobre 2010

Mille sentenze indiane - Enumerazioni 3

870. Entrare senza esser chiamato, ciarlare senza essere interrogato, dir bene di sé stesso e male degli altri: quattro indizi di leggerezza.
875. Non c'è nessuno che non sia stato ingannato dal buon contegno di nuovi servitori, dalle parole di un ospite, dalle lacrime di una lusingatrice e dal profluvio di parole dei furbi.
879. L'ospite, il bambino, il re e la moglie non vogliono sapere se una cosa c'è o non c'è; ma non fanno che dire "dammi, dammi!".
889. L'uomo volgare non si sazia di ammassare denaro; il sapiente non si sazia di belle massime; l'oceano non si sazia di accogliere acque; l'occhio non si sazia di mirare cose gradite.

sabato 2 ottobre 2010

Mille sentenze indiane - Enumerazioni 2

858. La diletta, onusta di onestà; un'edera, onusta di fiori; un discorso, onusto di senso - hanno un'ineffabile bellezza.
859. Meglio è tacere che parlare; dir la verità, viene in secondo luogo; in terzo, dire ciò che è giusto; in quarto, dire cose gradite.
861. Quattro cose muovono altrui al riso: uno stolto che fa poesie, un fioco che canta, un povero con arie da vagheggino, un vecchio sensuale.
862. Quattro doti non si acquistano con lo studio, ma sono innate in certi individui: la musica, la poesia, l'eroismo, la generosità.
865. Generosità congiunta con affabilità; dottrina senza alterigia; coraggio accompagnato da mitezza; ricchezza unita a liberalità; ecco quattro belle cose difficili a trovarsi.

mercoledì 8 settembre 2010

Mille sentenze indiane - Enumerazioni

829. Questi due uomini non sono mai felici nel mondo: chi, senza denari, s'innamora; chi, senza potenza, s'adira.
834. Chi vuole un'amicizia lunga, queste tre cose non faccia: stare a tu per tu, comunanza d'interessi, chiacchierare con la moglie dell'amico.
840. La scienza di chi è troppo modesto; il denaro dell'avaro; la forza del braccio del pauroso - sono tre cose inutili nel mondo.
843. Una notizia che eccita la curiosità; una scienza immacolata; il profumo straordinario del muschio: queste tre cose si diffondono di per sé sulla terra, irresistibilmente, come una goccia d'olio sull'acqua.

lunedì 26 luglio 2010

Mille sentenze indiane - Viaggi

793. L'uomo che non viaggia per vedere tutta la terra, piena di tante meraviglie, è come un ranocchio nella sua pozzanghera.
794. A chi non viaggia per i paesi, a chi non frequenta i dotti, l'intelletto si restringe come una goccia di burro sull'acqua. Ma a chi viaggia per i paesi, a chi frequenta i dotti, l'intelletto si allarga, come una goccia d'olio sull'acqua.

domenica 13 giugno 2010

Mille sentenze indiane - Dolore e Gioia.

765. Chi si affligge per un morto o per una cosa perduta o per una cosa passata, aggiunge dolore a dolore e soffre doppio danno.
766. Chi dà un dolore ad altri, soffre poi un dolore più grande; perciò chi teme il dolore, non deve dar dolore ad alcuno.
771. Quanti legami cari al cuore l'uomo via via stringe, altrettante spine di dolore gli si ficcano via via nell'anima.
773. I giorni terminano col tramonto e coll'aurora termina la notte; la gioia finisce sempre in dolore, e il dolore in gioia.
776. Qua suoni di liuto, là pianti e lamenti; qua concioni di dotti, là risse di ubriachi; qua una graziosa donna, là un corpo cadente per vecchiezza; non so se questo mondo sia fatto di ambrosia o di veleno.
779. Forse che nel mondo la gioia e il dolore sono due cose proprio diverse? Per mancanza di discernimento si stabilisce una netta separazione fra gioia e dolore. Ma v'è uno stato di mente, vittorioso, degli uomini di alto sentire, per il quale il dolore non è dolore e la gioia non è gioia.

domenica 23 maggio 2010

Mille sentenze indiane - Pregi e Difetti

756. Dei pregi degli uomini di fa conto, non della sola nascita; per un vaso di cristallo incrinato non si dà nemmeno un quattrino.
757. Più di un pregio, risalta in noi un difetto: si suole badare più alle macchie della luna che alla sua chiarità.
758. In un uomo ricco di cento pregi, il maligno scorge l'unico difetto; in un laghetto (ricco) di loti il cinghiale va a cercare solo il fango.
762. Un uomo senza pregi non intende chi ne ha; chi è dotato di pregi, è invidioso di altri che pure ne possiede; raro è l'uomo retto che, ricco di pregi, gode dei pregi altrui.

domenica 16 maggio 2010

Mille sentenze indiane - Dominio dei sensi

741. Col tenere a freno lo spirito, si tengono a freno anche tutti i sensi; quando il sole è ricoperto dalle nubi, sono ricoperti anche i suoi raggi.
742. Non tanto male può fare un affilato pugnale o un serpente calpestato, o un nemico pieno di rancore, quanto l'animo indisciplinato.
743. L'anima è la divinità, il santuario, la meditazione e la preghiera; senza l'anima, ogni cosa è vana; perciò si tenga a freno l'anima.
747. Chi è dominato dalle passioni non prende sonno nemmeno fra lenzuoli di lino; chi è privo di passioni, dorme placido anche in mezzo alle spine.
751. Risplende il lago, quando non c'è fango;
un'assemblea, se non vi seggon tristi;
la poesia, per suoni dolce e piana;
l'animo, se dai sensi si allontana.

lunedì 3 maggio 2010

Mille sentenze indiane - La Parola.

733. Pari a zanna d'elefante, la parola dei magnanimi, una volta pronunziata, non torna indietro; va e viene quella dei vili, come il collo della tartaruga.
735. Alla fine di un yuga vacilla il Meru, alla fine di un kalpa si scuotono i sette oceani; ma non vacillano mai i virtuosi dalla promessa fatta.
737. Durissimi sono i cuori degli onesti, io credo; ché non son per nulla trafitti dalle acute frecce delle parole dei malvagi.
738. La ferita di una freccia si cicatrizza; un bosco abbattuto dalla scure, ricresce; terribile è un'aspra parola; la ferita che essa fa, non si rimargina.
739. Avendo creato la punta della lingua dei malvagi, mortifera agli uomini, perché il signore Iddio creò inutilmente il fuoco e il veleno e il coltello?

venerdì 9 aprile 2010

Mille sentenze indiane - La Verità

726. Per i magnanimi non c'è divario fra pensiero, parola, e azione; per i malvagi, pensiero, parola e azione differiscono l'uno dall'altra.
727. La falsità è la peggior malattia, il peggior tormento, il peggior nemico, il peggior veleno.
728. L'ago, diritto, serve a congiungere; la forbice, curva, a staccare; lascia pertanto le vie tortuose e tienti alla virtù.
731. Per la verità la terra si regge, per la verità risplende il sole, per la verità soffia il vento: ogni cosa è fondata sulla verità.

domenica 24 gennaio 2010

Mille sentenze indiane - Virtù - 2

710. Dall'acqua nasce il fango, e coll'acqua si deterge; dal cuore nasce la colpa, e col cuore si purifica.
712. Guarda rettamente colui che guarda alla donna altrui come alla propria madre, ai beni altrui come a una zolla di terra, a tutte le creature come a sé stesso.
715. Non aver procurato l'altrui dolore; non essersi inchinato ai malvagi; non aver abbandonato il sentiero dei buoni: sembra poca cosa, ed è molto.
718. Il virtuoso, anche piombato nella sventura, non perde il proprio carattere; la canfora, toccata dal fuoco, odora anche di più.
722. Come il latte è di un solo colore, per quanto di più colori sieno le vacche, così nei vari aspetti della virtù una sola è la verità suprema.

domenica 17 gennaio 2010

Mille sentenze indiane - Virtù

685. Non si faccia ad altri ciò che sarebbe sgradito a noi stessi: questa è, in compendio, la legge morale; ogni altra legge procede ad libitum.
686. Colui che si addolora vedendo creature addolorate o che si allieta vedendo creature liete, conosce a fondo la Legge.
690. Con grande sforzo si spinge un macigno in salita, con facilità si fa ruzzolare lungo il pendio di un monte; così è dell'animo nostro rispetto alla virtù e al peccato.
691. Non desiderare ciò che è d'altri; esser benevoli verso tutte le creature; aver fede nel frutto delle azioni - si operi avendo sempre in cuore questo triplice precetto.
709. Se tu porti il bastone, la testa rasa o la treccia, se dimori in una caverna, ai piedi di un albero, su di una rupe, se leggi i purâṇa o i Veda, il Siddhânta o i Tantra, tutto ciò non serve a niente, se non hai puro il cuore.

domenica 10 gennaio 2010

Mille sentenze indiane - Cupidigia

654. Tutta la gente va errando, salita sul carro del desiderio, che è aggiogato ai cavalli-sensi e spinto dall'auriga-cupidigia.
656. Tu non conosci il vero, o Cupidigia! sei un fanciullo difficile a contentare, un fuoco insaziabile; né distingui tra ciò che è agevole e ciò che è malagevole ad ottenere.
657. Se colui che aspira alla redenzione provasse la centesima parte delle pene che sopporta questo stolto per l'avidità di ricchezza, sarebbe già redento.
660. Il volto si copre di rughe, il capo è segnato di canizie, le membra si afflosciano... Sola la cupidigia resta sempre giovane.
661. Te, ventre, io lodo, poiché sei pur soddisfatto di qualche legume; ma non te, o cuore maledetto, ché non sei sazio nemmeno di cento e cento desideri!

 

martedì 5 gennaio 2010

Sanscrito. Quella lingua perfetta che ha inventato "Avatar"

Sulla prima pagina pagina della cultura di ieri de "la Repubblica" è apparsa una presentazione del nuovo dizionario di sanscrito di cui ho parlato poco fa, con citazioni del Prof. Sani:
Come si evince dal titolo, si mostra l'attualità del sanscrito a partire dal titolo "Avatar" dell'ultimo kolossal di Cameron. In effetti 'Avatar' è una delle parole di origine sanscrita che ha avuto più fortuna. Già usata ampiamente nel francese colto per dire 'incarnazione, metamorfosi' (spesso riferito a concetti astratti), si è affermata recentemente nel mondo virtuale come identità fittizia, una sorta appunto di emanazione dell'individuo che agisce in rete. Ed ora c'è il titolo del film di fantascienza, in un contesto di incarnazione più concreta, di ingresso in un altro corpo.
Il sanscrito Ava-tāra- significa 'discesa' o 'apparizione' di una divinità. Ava- è una preposizione che significa 'via, giù', tāra- viene dal verbo tṝ- (tarati) 'attraversare, raggiungere una meta', ed esiste anche il verbo ava-tṝ- (avatarati) 'scendere in, discendere (come divinità), incarnarsi, arrivare a, fare la propria apparizione'.


Come è noto, il concetto si applica principalmente a Vishnu, il Preservatore, e ai suoi dieci Avatāra (nell'immagine a sinistra) che appaiono per difendere il Dharma, l'ordine cosmico-sociale, ripercorrendo le varie fasi della mitologia dei Purāṇa: dal Diluvio dove agisce Matsya, il pesce che salva il progenitore Manu dalle acque, fino all'apocalittico Kalki, guerriero su un cavallo bianco che pone fine all'età degenerata del Kali Yuga in cui ci troviamo, per reinstaurare il Satya Yuga, età della virtù. Gli Avatāra più venerati in India sono certamente Rāma figlio del re Daśaratha di Ayodhyā, a cui è legato l'epos del Rāmāyaṇa, e Krishna re degli Yādava, ben presente nel Mahābhārata, e che si manifesta nel pieno della sua natura divina nella Bhagavadgīta, il 'Canto del Beato' in cui espone ad Arjuna, prima della battaglia, i principi dello Yoga.
Si tratta di due personaggi probabilmente storici, il primo vissuto intorno al 2000 a.C. (epoca che corrisponde al passaggio tra Tretā e Dvāpara Yuga) e il secondo nel XV sec. a.C., quando possiamo situare la battaglia del Mahābhārata (al passaggio tra Dvāpara e Kali Yuga) e la scomparsa sotto il mare (documentata archeologicamente) di Dvārakā, la capitale di Krishna. Apparentemente, grandi eroi, esempi viventi del Dharma, vissuti in epoche cruciali, sono stati assunti come Avatāra. Persino il Buddha, Siddhārtha Gautama del clan Shakya, fondatore di un movimento spirituale fortemente osteggiato dai brahmani conservatori, è stato assunto come Avatāra di Vishnu nei Purāṇa, evidentemente per inglobarlo nel sistema brahmanico.
Ma anche in tempi più recenti sono stati riconosciuti degli Avatāra divini, come Chaitanya, maestro della Bhakti (devozione) vissuto in Bengala a cavallo tra XV e XVI secolo, punto di riferimento degli 'Hare Krishna', oppure Ramakrishna, importante maestro spirituale del XIX secolo (vedi
http://www.eng.vedanta.ru/library/prabuddha_bharata/ramakrishna_the_greatest_of_avataras_june04.php).
O anche il contemporaneo, e ben noto, Sathya Sai Baba (http://www2.cruzio.com/~lobsta/jgm-avatar.html).
Nel passaggio dall'India all'Occidente, il termine sembra essere passato da Dio all'uomo (o all'io): infatti se in India solo il Dio supremo, o comunque una divinità, può avere Avatāra, oggi nel mondo virtuale ognuno può creare i suoi Avatar...

D'altronde, un significato meno noto del termine sanscrito avatāra- si trova nei titoli di alcune opere, come il Madhyamakāvatāra di Chandrakīrti (maestro della scuola buddhista della Via di Mezzo), che viene tradotto "Introduzione alla Via di Mezzo", intendendo evidentemente avatāra- come 'introduzione, entrata', infatti l'opera vuole essere un commento al testo di Nāgārjuna sulla Via di Mezzo (tra eternalismo e nichilismo) (http://www.scribd.com/doc/24563026/Chandrakirti-Madhyamakavatara-commented).
O ancora un'altra opera della stessa scuola, il Bodhisattvachāryāvatāra di Shāntideva, "Introduzione alla pratica dell'essere del risveglio", più noto in ambito accademico come Bodhicāryāvatāra "Introduzione alla pratica del risveglio", trattato che spiega come sviluppare le qualità di un Bodhisattva, un aspirante al completo risveglio spirituale (una traduzione italiana a http://www.samantabhadra.org/articles.php?lng=it&pg=36).
Si tratta di due opere molto importanti nel curriculum di studi del Buddhismo tibetano, e insegnate e commentate anche in Occidente, anche se sulla base della traduzione tibetana invece che del testo sanscrito, benché comunque si usino le forme originali sanscrite per i titoli e per alcuni termini 'tecnici' (come Buddha, Bodhisattva, Bodhicitta...).
















venerdì 1 gennaio 2010

Mille sentenze indiane - La speranza


648. Colui, che è stato fatto schiavo dalla speranza, è schiavo di tutti gli uomini; colui che ha fatto sua schiava la speranza, fa suo schiavo tutto il mondo.

651. Una festa, quando già si celebra, non è così bella come una festa imminente; la luna, nel levarsi a sera, risplende ben altrimenti che nell'albeggiare.

652. Meravigliosa catena è la speranza, dalla quale legati, gli uomini corrono innanzi; sciolti, se ne stanno fermi come storpi.

653. Grande è la montagna, più grande il mare, più del mare è grande il cielo, più del cielo il brahma, l'anima del mondo; più ancora del brahma, la speranza.

domenica 27 dicembre 2009

Mille sentenze indiane - L'ira


644. La collera dell'uomo eccelso dura un momento, del mediocre due vigilie, dell'uomo volgare un giorno e una notte; del malvagio non cessa mai.

645. Non esiste; e se esiste, non dura a lungo; se dura a lungo, non dà poi il frutto che se ne aspetta: la collera dei buoni è eguale all'amore dei malvagi.

647. Chi vale di più? chi, infaticato, offre ogni mese un sacrifizio, durante cento anni, ovvero chi non si adira mai con alcuno? Chi non si adira, vale di più.