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L’Europa ebbe i primi significativi incontri col sanscrito nel XVI secolo, quando viaggiatori curiosi come il mercante fiorentino Sassetti scoprirono le sorprendenti somiglianze tra i numeri sanscriti e i numeri latini o greci, e i rispettivi termini di parentela: per esempio, latino duo, sanscrito dvā, latino tres, sanscrito trayas, latino mater, sanscrito mātā(r).
Fu solo però in seguito alla colonizzazione britannica del XVIII secolo che il sanscrito fu conosciuto più dettagliatamente dagli europei: un documento esemplare di questo evento culturale è il discorso che Sir William Jones (qui ritratto), orientalista formatosi ad Oxford e giudice del Tribunale Supremo di Calcutta, fondatore della “Royal Asiatic Society of Bengal”, tenne nel 1786, in cui dichiara:
“Il sanscrito, quale che sia la sua antichità, è di una struttura meravigliosa, più perfetta del greco, più vasta del latino e più squisitamente raffinata sia dell’uno che dell’altro; inoltre, presenta rispetto ad entrambe sia nelle radici dei verbi che nelle forme grammaticali un’affinità così stretta che è impossibile considerarla casuale...”
Parole che dovevano suonare sconcertanti ai classicisti dell’epoca, e che segnano l’inizio dell’indoeuropeistica, ovvero di quella scienza che confronta le lingue della famiglia indoeuropea, così chiamata perché si trova tra l’India e l’Europa, e nella quale il sanscrito ha un’importanza fondamentale per la sua antichità e ricchezza lessicale. Questo è il motivo per cui l’insegnamento del sanscrito è diffuso nelle facoltà di Lettere anche al di fuori degli ambiti orientalistici, nel contesto della linguistica storica comparata. Nonostante ciò, rimane una lingua ancora ampiamente ignorata, di cui circolano alcune parole ormai familiari anche al grande pubblico, come mantra, karma, avatāra, guru, yoga... ma di cui non si conosce la struttura, la storia, la straordinaria ricchezza di testi. Conoscere il sanscrito permette di accedere al cuore di una delle più grandi civiltà del mondo, quella indiana, unica per la sua attenzione ai valori dello spirito, e al contempo interessata ai più vari campi dello scibile e dell’arte, dalla medicina alla matematica, dalla logica alla musica, dall’astronomia alla politica. I generi letterari in sanscrito comprendono inni religiosi e poemi epici, codici di leggi e opere filosofiche, poemi di cosmologia e storia tradizionale, raccolte di novelle, trattati scientifici e grammaticali, manuali di meditazione, opere drammatiche e composizioni liriche.
Quando l’antica cultura dell’India fu meglio conosciuta in Europa, a cavallo tra Settecento e Ottocento, in particolare in Germania e in Francia, avvenne quello che è stato chiamato un ‘Rinascimento orientale’, stimolato non, come quello del Quattrocento e Cinquecento, dalla riscoperta degli antichi Greci e Romani, ma appunto dalla scoperta sostanzialmente inedita delle civiltà orientali, in particolare di quella indiana, vista spesso come l’origine remota della stessa civiltà europea, idea che oggi possiamo riprendere oggi in considerazione su basi non solo linguistiche, ma anche archeologiche e genetiche.
Nel corso dell’Ottocento, l’interesse per il pensiero indiano toccò filosofi come Hegel e soprattutto Schopenhauer (grande estimatore delle Upaniṣad, i testi metafisici dei Veda), nonché gli americani Emerson e Thoreau, influenzò profondamente la Società Teosofica e in generale l’esoterismo, mentre in ambito accademico, grazie a personalità come Max Müller, si sviluppava la disciplina indologica per mezzo della conoscenza della lingua e dei testi più importanti, fino alla redazione dei dizionari più usati ancora oggi, ovvero quello tedesco di Böthlingk e Roth e quello inglese di Monier-Williams, la cui prima edizione data al 1899.
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