giovedì 23 aprile 2009

Un ammonimento profetico di un sanscritista francese


Riprendendo 'Orientalismo' di Edward Said, mi sono imbattuto (p.262 dell'ed. Bollati Boringhieri) in un passo piuttosto impressionante dell'illustre indologo francese Sylvain Lévi (nella foto), professore di sanscrito del Collège de France dal 1894 al 1935 (quasi gli stessi anni di Pavolini, però Lévi era decisamente di un altro versante, come ebreo francese). Ebbene, questi scrisse nel 1925 a proposito dei rapporti tra Occidente e Oriente:
"E' nostro dovere comprendere la civiltà orientale. [...] Quei popoli sono eredi di una lunga tradizione di storia, arte e religione, il cui senso non hanno interamente smarrito, e che probabilmente intendono prolungare. Noi ci siamo assunti la responsabilità d'intervenire nel loro sviluppo, talvolta senza consultarli, talaltra rispondendo a una loro richiesta [...] Sosteniamo, a torto o a ragione, di rappresentare una civiltà superiore, e in nome del diritto che ci verrebbe da tale superiorità, che regolarmente affermiamo con tanta sicurezza da farla sembrare loro incontestabile, abbiamo messo in discussione tutte le loro più radicate consuetudini [...]
In generale, quindi, ogni volta che gli europei sono intervenuti, l'indigeno ha provato una sorta di disperazione globale, resa particolarmente pungente dal sentire che il proprio benessere, nella sfera morale più che in termini meramente materiali, invece di crescere era in realtà diminuito. [...] La delusione è diventata risentimento da un capo all'altro dell'Oriente, e quel risentimento è ora assai prossimo a mutarsi in odio vero e proprio, e l'odio non fa poi che attendere il momento propizio per mutarsi in atti concreti.
Se per pigrizia o incomprensione l'Europa non compirà lo sforzo che le è richiesto nel suo stesso interesse, allora il dramma asiatico si avvicinerà al punto critico.
E' qui che la scienza, che è un modo di vita e uno strumento della politica - ovunque i nostri interessi siano in gioco - ha implicitamente il dovere di penetrare nell'intimo delle civiltà e dei modi di vita dei nativi per scoprire i loro valori fondamentali e le loro caratteristiche durature, invece di soffocarne l'esistenza sotto una massa incoerente di modi di vita importati dall'Europa."
Nonostante l'epoca del colonialismo appaia ormai lontana, e non si usino più termini come 'indigeni' e 'nativi', il messaggio conserva una sua scottante attualità, soprattutto per il mondo islamico, ma anche l'India è una di quelle 'civiltà orientali' a cui doveva pensare Sylvain Lévi. E' vero che essa appare amichevole e ospitale verso gli Occidentali, ma non mancano episodi di reazione violenta ai missionari cristiani (recentemente in Orissa), e una frangia di conservatori ostili all'influenza occidentale. Sta a noi comprendere la civiltà dell'India (e dell'Islam, e della Cina) per poter interagire con essa nel modo più corretto, rispettoso, e proficuo per entrambe le parti. E, naturalmente, per ampliare la nostra conoscenza dell'essere umano e delle sue (spesso sorprendenti) potenzialità, riconoscendo che le differenze culturali non ci fanno appartenere a categorie ontologiche diverse...










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