martedì 10 febbraio 2009

Cos'è il sanscrito?


Il termine ‘sanscrito’ indica la lingua classica e sacra dell’India, detta saṃskr̥tam, che significa “perfezionato, compiuto”. Essa infatti fu codificata nella sua forma ideale dai grammatici indiani, in particolare Pāṇini (situabile nel IV sec. a.C.), fino a diventare la lingua colta, in contrasto con il prakr̥tam, la lingua “naturale”, il vernacolo di uso comune, un po’ come il latino letterario in contrasto con i vari ‘volgari’ dei Paesi di cultura latina. Come però il latino proveniva dalla lingua viva dell’antica Roma, il sanscrito ha le sue radici nella lingua ‘antico-indiana’ che si trova rispecchiata nei Veda, testi sacri molto antichi (alcune parti risalgono almeno al II millennio a.C.) composti nell’India settentrionale dalla casta sacerdotale dei brahmani, che sono divenuti i più fedeli custodi del sanscrito, tanto da poterlo ancora usare come lingua parlata. Grazie alla loro conservazione di questa tradizione culturale, molti termini sanscriti si trovano ancora nelle lingue indiane contemporanee, sia arie sia dravidiche, e la stessa scrittura che si usa per il sanscrito è usata oggi per le lingue hindi, marathi e nepali, che comprendono la maggior parte dell’India settentrionale, il Maharashtra (lo Stato di Mumbai) e il Nepal.
Tradizioni in lingua sanscrita si sono diffuse ampiamente, in forma diretta o mediata, anche al di là dell’India, tramite l’Induismo nel Sudest asiatico (Cambogia, Indonesia), e tramite il Buddhismo del Grande Veicolo in Asia centrale, Tibet, Mongolia, Cina, Corea, Giappone, tanto che numerosi termini e formule di origine sanscrita si trovano ancora usati in queste culture. Tramite una lingua molto prossima al sanscrito, il pāli, la cultura del Buddhismo indiano Theravāda si è diffusa invece nell’isola di Ceylon e in gran parte dell’Indocina.

Per dare un’immagine introduttiva, possiamo dire che la struttura della lingua è analoga a quella del greco, con tre generi (maschile, femminile e neutro), e tre numeri (singolare, duale e plurale), presenta però otto casi (Nominativo, Vocativo, Accusativo, Strumentale, Dativo, Ablativo, Genitivo e Locativo), che vengono declinati in modo parzialmente diverso a seconda del tema del sostantivo.
Il verbo presenta due coniugazioni fondamentali, tematica e atematica, ha le diatesi attiva, media e passiva come il greco, i modi indicativo, ottativo, precativo (per l’aoristo), imperativo, participio, gerundio o assolutivo, gerundivo e infinito (in vedico anche l'ingiuntivo e il congiuntivo), i tempi presente, imperfetto, perfetto (in vedico anche il piuccheperfetto), aoristo, futuro.
La scrittura, detta devanāgarī, è di tipo parzialmente sillabico, indica sia le consonanti che le vocali, comprende 42 segni principali, alcuni segni diacritici e varie combinazioni dei segni principali. Il suo apprendimento è relativamente rapido, sebbene non sia indispensabile nel caso ci si voglia limitare alla lettura di testi traslitterati.
La fonetica si presenta molto simile a quella italiana per quanto riguarda le vocali, mentre per le consonanti presenta alcuni suoni assenti nell’italiano standard, come le occlusive aspirate sonore e sorde (analoghe a certi suoni del calabrese), le cerebrali o retroflesse (che corrispondono a suoni tipici del siciliano), e l’aspirata semplice (analoga alla h inglese o alla gorgia toscana).

1 commento:

  1. Si dice sia la madre di tutte le lingue e di facile apprendimento, perchè i suoi suoni creano la realtà.

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